Ciao ragazze e ragazzi!
Oggi ho un pensiero che mi ronza da qualche tempo nella testa
e forse forse ha trovato una sua maniera per esprimersi.
Parliamo dei nuovi inizi. La cosa ci riguarda da vicino:
magari prima avevate la patente, andavate in giro da soli, qualsiasi informazione
gli occhi ricevessero, eravate sempre in grado di elaborarla. Poi, qualcosa è
accaduto: una malattia, un incidente, chissà. Da lì, avete dovuto, come me,
ricominciare tutto da capo. La vita che prima conoscevate benissimo ormai non c’è
più e ha lasciato il posto all’ignoto più totale.
Fa molta paura. Ho paura adesso che scrivo, perché davvero si
tratta di un momento terrificante della vita.
Qualche tempo fa ho incontrato una ragazza che conosco da un
paio di mesi. Una bellezza imbarazzante. Ha avuto un terribile incidente, anni
fa, che l’ha conciata malissimo. Credo, per quello che so dell’accaduto, che
sia stata molto fortunata ad essere ancora qui con noi, ma i danni sono
evidenti e purtroppo se li porterà per sempre dietro. Una mia amica l’ha
definita una ragazza persa, una vita scivolata via, anche se ancora sopra la
terra. Ha ragione. La vedi, la vedo persino io che vedo poco: sembra un
fantasma delicatissimo, come fatto di cristallo, che si muove incerta sui
piedi, nell’ombra di una vita che non era di certo quella che si immaginava.
Questa frase mi è rimasta in testa come una eco per questi
giorni. A volte tornava e mi faceva riflettere.
Dopotutto, anche se siamo in un mare non particolarmente
favorevole, possiamo affermare di essere fortunati a trovarci ancora qui, sopra
la terra. Poteva andare sicuramente peggio. Poteva anche andare meglio, ma
senza alcun dubbio, al peggio non c’è mai fine.
Poniamo che ti arrivi addosso una malattia, o magari un
incidente. Quello che conoscevi della tua vita non c’è più e non tornerà mai
più. Sei di nuovo punto e a capo, solo che questa volta senti di aver perso
qualcosa di importante. Non credo, d’altra parte, che un cambiamento tremendo,
per quanto negativo, comporti la fine della vita. I cambiamenti sono normali,
fanno parte del normale scorrere dell’esistenza. Io dico, allora, che dai
cambiamenti più radicali, anche segnati dalla trisezza e dalla disperazione,
possiamo tirarci fuori qualcosa di utile e positivo.
Come si fa?
Ho iniziato a pensare alle associazioni esistenti, agli
ausili, agli aiuti psicologici, ma niene mi soddisfa davvero. È tutto troppo
vago, senza struttura, confusionario e poco realisrico.
Allora, ecco l’idea: perché non proviamo a immaginare un
centro, vero e proprio, dove si accolgono le persone che per qualche motivo
hanno dovuto abbandonare la loro vita per quella che era e adesso sono davanti
all’ignoto più nero e non sanno come comportarsi?
Parlo di un vero e proprio istituto di miglioramento e
indirizzo della persona. Con aiuti sistematici, un percorso prestabilito,
chiaro, efficiente e semplice. Qualcosa che coinvolga al contempo la psiche
della persona e gli aspetti materiali della vita quotidiana. Coinvolgendo,
anche, le famiglie e gli amici, dando una speranza reale, non solo chiacchiere
e compassione.
Immagino persone che hanno subito un incidente grave, oppure
sono sopravvissute a una malattia, oppure per qualche ragione esterna non sanno
più dove si trovano. Penso anche, per esempio, a tutte quelle persone che sono
state scaricate da un compagno o da un marito, senza preavviso e senza
possibilità di contraddittorio e appello. Chiunque si senta sbalzato fuori
dalla propria vita e veda davanti a sé un baratro, paralizzato dalla paura e
dal dolore, sarà il benvenuto in questo centro.
Penso alla vita domestica, all’inserimento nel lavoro, penso
a gratificazioni nello studio e sul posto di lavoro, penso a soddisfazioni
nella vita sociale, come avere degli amici da frequentare e magari l’aiuto nel
trovare un compagno e mantenere una relazione sana. Penso allo sport, agli
hobby, ai divertimenti e a tutte quelle attività ad minchiam che sono
essenziali per vivere bene. Penso all’aiuto psicologico cruciale quando queste persone inevitabilmente saranno
da sole durane la giornata. Sappiamo bene che finchè la testa è impegnata in
qualche attività interessante non sente il male, ma una volta che andiamo a dormire,
quel lato del cervello che per convenzione sociale millenaria chiamiamo cuore,
comincia a sbattere nelle tempie, sparando flash di ricordi bellissimi e
immagini di come sarebbe stata la vita se… Credo sia in quei momenti che la
persona soffre di più e allora bisogna intervenire a monte, creando meccanismi
di difesa e di rapida uscita.
Ovviamente, non ho la benchè minima idea di come si organizzi
una simile impresa. Sono sicura, però, che qualcosa salterà fuori dal cilindro.
Se avete suggerimenti, consigli e riflessioni, non esitate. Ho anche già il
nome: Prometeo. Una delle pochissime figure della mitologia che volesse salvare
l’umanità, e non sterminarla.
Datemi input anche voi. Come possiamo fare una cosa del
genere? Come facciamo a rendere Prometeo una realtà funzionale ed efficiente?
Ho la nausea a pensare a tutte quelle finte associazioni che vogliono solo compatire:
non portano a nulla. Ogni minuto è prezioso, quindi perché sprecarlo nel
terrore, nel dolore e nel dubbio? Meritiamo tutto, basta solo che ci
organizziamo un po’ per ottenerlo. La vita potrebbe durare fino a domani sera,
oppure altri 100 anni. Non potendolo sapere, usiamo le nostre capacità, impegniamoci,
amiamo, costruiamo e vediamo che succede. Cerchiamo, anche, di non tirare fuori
solo il peggio di noi: è vero che abbiamo avuto sfiga, molta sfiga, una cosa
incredibile della quantità di schifo che sopportiamo. Questo non ci legittima a
diventare delle bestie insensibili e presuntuose. Voi che invece ci state
accanto, non demordete: magari gridiamo e scalciamo, ma la verità è che abbiamo
una paura feroce e ci sentiamo molto soli.
Vi lascio con il pensiero positivo: quando Pandora, curiosa
scimmiaccia che non era altro, aprì il vaso (che le era stato detto di non
aprire, ma si sa, le donne fanno sempre di testa loro!), uscirono tutti i
dolori del genere umano: tristezza, lavoro, fatica, paura, cattiveria, invidia…tutto.
Alla fine, dopo la fuoriuscita del disastro, per ultima, uscì la speranza, che
di lì in poi avrebbe accompagnato l’umanità, aiutandola a superare tutte le
tragedie appena arrivate nel mondo.
E se la speranza, anziché aspettare che esca da qualche vaso
o tazzina, la creassimo noi, dandole una struttura, una spina dorsale, che le
consenta di vivere nel tempo, per noi e per quelli che verranno dopo di noi?
XOXO