Paralympic Stories #1 || La Preparazione




Bom dia a todos!

Mesi di silenzio senza limite causati da… Rio de Janeiro! Sono sparita dai social proprio perché ero impegnatissima con la preparazione per le Paralimpiadi dove ho gareggiato come prodiera del 4 con LTA! Un’esperienza incredibile, pazzesca, travolgente e vibrante. Ma andiamo con ordine.
So che se scrivessi tutto insieme mi confonderei e tralascerei qualche passaggio importante oppure non riuscirei a spiegare bene tutto quello che è successo. Così, ho deciso di dividere il racconto in tre post diversi. Oggi parliamo della preparazione olimpica, ovvero dei mesi trascorsi ad allenarmi furiosamente senza sosta. Domani invece ci sarà il post sui primi dieci giorni a Rio, sul Villaggio Olimpico e le gare. Da ultimo, domenica scriverò di tutte le impressioni che abbiamo avuto dopo la regata, quando l’adrenalina cala e cominci a renderti conto di quello che hai fatto.
Per chi non lo sapesse, ho iniziato canottaggio il 17 settembre 2012, subito dopo le Olimpiadi di Londra. Avevo visto una gara molto bella dove il doppio italiano Battisti-Sartori aveva vinto la medaglia d’argento. Mi era sembrato uno sport favoloso in TV: aggraziato, elegante, eppure pieno di forza e costantemente alla ricerca della determinazione necessaria per vincere. Sembrava, poi, uno sport dove la vista non serviva molto dato che si procede spalle al traguardo. Rientrata a Rome, mi sono messa alla ricerca di un posto dove poterlo praticare e per caso sono approdata al Circolo Canottieri Roma, mia attuale società, che mi ha accolta e ho iniziato a divertirmi dopo anni e anni di nuoto in solitaria. Finalmente stavo all’aria aperta, praticavo una sana attività fisica in compagnia di un equipaggio e mi godevo Roma da un angolo del tutto nuovo, cioè dal Tevere. È anche grazie al canottaggio che ho iniziato ad amare realmente questa città pazza, ad apprezzare tutti i dettagli e incavolarmi come una bestia per tutti i soprusi che subisce quotidianamente. Siamo responsabili di questa decadenza e il miglioramento è tutto nelle nostre mani.
Comunque sia, dopo qualche mese sono stata avvicinata alla Nazionale Para-Rowing e ho partecipato al mio primo raduno a Gavirate dove ho affrontato le mie prime gare in barca. Con il passare del tempo mi divertiva sempre di più remare e ho passato l’estate 2013 in raduno, in preparazione per quello che doveva essere il mio primo Campionato del Mondo.
Purtroppo però non venni classificata nella categora che poteva gareggiare con la barca sulla quale ero stata inserita e alla fine rimasi a terra. Fu uno shock incredibile. Stavo malissimo come quando muore una persona cara. Ancora oggi ricordo con orrore quelle giornate e devo dire che la rabbia non si è spenta, anzi. Piuttosto, si è indirizzata correttamente.
Rientrata in italia dopo questo momento sconvolgente, ho continuato ad allenarmi e sono diventata sempre più forte.  La stagione 2014 è stata la migliore: ho partecipato e vinto in molte gare internazionali, in Coppa del Mondo, concludendosi con la vittoria del bronzo ai Mondiali di Amsterdam. Nello stesso momento mi sono anche laureata e qui purtroppo mi sono pentita di una cosa. Nella giornata della mia laurea iniziava il Memorial D’Aloja a Piediluco e mi sono lasciata convincere a parteciparvi, mollando parenti e amici che erano venuti persino dall’estero a Roma per festeggiarmi. Ho abbandonato presto la mia cena di laurea, mi sono cambiata, salutato tutti e sono andata a Piediluco. Ho poi gareggiato in due regate diverse e sinceramente, guardadomi indietro, ho fatto una stupidaggine. Potevo restare a Roma.
Ma pazienza, ormai è andata e sarò più intelligente la prossima volta.
La stagione 2015 è stata particolarmente complessa. Mi sono infortunata e stavo male a causa del secondo ciclo di radioterapia che avevo fatto nell’autunno del 2014. Non mi ero voluta fermare, non avevo mai recuperato le forze e alla fine mi sono spenta del tutto. Nell’inverno del 2015 è successo di tutto e tutto è stato orribile purtroppo. A volte la vita ti mette davanti a delle scelte difficoltose e come ti giri, alla fine viene fuori che sei sempre perdente. Ci sono delle situazioni dove la tua posizione sarà sempre quella dello sconfitto. Ho seguito strade diverse dall’agonismo. Non mi sono mai fermata davvero, semplicemente stavo nell’ombra cercando di sistemare degli scenari scomodi.

Posso dire di aver rivisto un po’ di luce all’inizio della primavera 2016. Un po’ più caldo, un po’ più di calma e certe rotture di scatole finalmente trovavano un po’ più d’ordine. Con estrema fatica ho ricominciato ad allenarmi duramente, nel disperato tentativo di riprendere la forma e la forza, ma soprattutto la concentrazione che serve per sopravvivere a mesi di durissime fatiche. In giugno ho ricominciato ad andare ai raduni della Nazionale e ho dovuto affrontare i demoni interiori che cercano di minare la fiducia in me stessa. Dovevo lavorare come una furia scatenata. Dovevo battere i competitors che c’erano e salire io in barca. È stata una follia vera e propria, mai avevo sentito tanta stanchezza e tanto dolore. Eppure, dentro di me, non ho mai veramente immaginato il fallimento. Ovviamente non ero sicura di riuscire a bettere le avversarie, non ero sicura che la mia tecnica di voga fosse buona abbastanza da salire in barca per le Paralimpiadi, non ero sicura che la mia distanza dall’ambiente dell’anno prima non avrebbe influenzato la scelta da parte dei tecnici. Nonostante tutte queste incertezze, ero certa che ce l’avrei fatta. Mai una volta ho pensato di non riuscire a concluedere con un successo streoitoso. Sentivo dentro di me una specie di cuore separato dal mio. Sentivo dietro la stanchezza, la sofferenza, la solitudine, la rabbia e l’ansia, un vero cuore diverso, calmo, sereno, rilassato ma inesorabile. Lo vedevo rosso, grigio piombo, nero e azzurro. Davanti c’era la realtà della fatica, dietro la determinazione della pazienza. Non ho mai pensato di non farcela.

I mesi di giugno e luglio li abbiamo trascorsi a Roma, mentre agosto eravamo a Sabaudia in Guardia di Finanza. Ho scoperto di adorare Sabaudia. È una cittadina minuscola, perfettamente accessibile, con un mare meraviglioso, un lago pazzesco per remare e con tantissimo silenzio nonostante la vita vacanziera che di striscio colpiva anche noi. Sarà che eravamo alloggiati in caserma, posto che mi ricorda l’infanzia e che mi sembra di identificare inconsciamente come una casa, sarà che eravamo incoraggiati da tutti i ragazzi e le ragazze che si allenavano insieme a noi sul lago, sarà stata l’estate, mia stagione preferita, ma il mese a Sabaudia è stato fantastico. Gli allenamenti erano durissimi, faceva un caldo atroce, eravamo stanchissimi dai due  mesi di preparazione che avevamo alle spalle, eppure mi ha lasciato un bellissimo ricordo. È stato proprio a Sabaudia che mi hanno comunicato ufficialmente che sarei salita io in barca a Rio de Janeiro. Dopo un primo mento in cui mi sembrava di essere completamente sbronza, mi sono sentita come più forte e più determinata e nei muscoli sentivo scorrere più sangue e più volontà.
Comunicazioni federali alla mano, ho partecipato ai raduni pre-olimpici dal 1 giugno 2016 al 27 agosto 2016. Tre mesi faticosi, dolorosi, emozionanti, devastanti, incredibilmente positivi che ricorderò per sempre. Abbiamo sentito salire l’adrenalina, la tensione, l’aspettativa e l’onore. Ma quando mai ti capita di andare alle olimpiadi?? Ci sono atleti che ci provano per una carriera intera e non ci arrivano mai. È un onore e una responsabilità approdare alle Paralimpiadi: abbiamo tutti atraversato delle situazioni terrificanti, siamo sopravvissuti a tragedia immani che solo distruggono tutto quello che trovano. Abbiamo reagito e abbiamo scelto la positività e la bellezza della vita scacciando la paura, la tristezza e la solitudine.
E come dice il nostro mitico timoniere Peppiniello Di Capua “A 40 colpi decisi e chiudi con il braccio esterno”.
Roba da canottieri.

Foto di Mimmo Perna