Paralympic Stories #2 || Rio de Janeiro



Boa tarde a todos!

Secondo articolo sull’esperienza paralimpica appena conclusa!
Prima però vorrei esprimere il mio più profondo dispiacere per la morte in pista del ciclista iraniano, deceduto a seguito di una caduta durante la finale.
Inoltre, oggi è stata una ricca giornata per Italia Team, piena di medaglie e soddisfazioni.
Tornando alla folle storia remiera, siamo partiti il 30 agosto da Fiumicino. Sono arrivata all’aeroporto in uno stato di assoluta eccitazione accompagnata da mia mamma e dal mio fidanzato. Tutta la giornata del 30 l’ho passata a fare la valigia e cercare di mantenere la calma, cosa non semplice! Arrivati al check-in, ho incontrato tutte le persone che avevano costellato la preparazione dei mesi precedenti. È stato davvero bello vedere tutti questi amici: tantissimi sorrisi, tantissimi baci, tantissimo affetto e un generale senso di consapevolezza che stavamo per affrontare un’esperienza fuori dal comune. In volo sono caduta in catalessi e da Roma mi sono svegliata a Rio.
Una volta approdati al Villaggio Olimpico, abbiamo subito avuto l’impressione di essere stati catapultati in un nuovo mondo fatto di colori, persone di ogni genere, provenienza, forma e dimensione.

Il Villaggio non è affatto male. Decine di grattacieli che dopo i Giochi diventeranno  residenze per privati. Ci sono una mesa gigantesca, una seconda mensa un po’ più a dimensione umana, una palestra che è la fine del mondo con schieramenti interi di ogni attrezzo immaginabile, il McDonald, lo store dei gadget, lo store Samsung e una serie di piccoli negozietti per necessità di sorta.
C’erano migliaia di persone, migliaia di colori diversi, migliaia di sguardi nuovi. Ho visto disabilità di tutti i tipi, da quelle che comunemente associamo in Europa a un handicap, all’atleta più alto del mondo ai nani del sollevamento pesi agli albini. È pazzesco: la diversità intesa come la definisce il dizionario compresa in unico spazio nello stesso momento. È uno spettacolo che lascia mozzafiato: c’è tutto, ci sono tutti e tutti pronti a gareggiare e dare il massimo.
Il campo di regata invece si trova a Ipanema, in pieno centro. Molto bello, peccato che siamo usciti solo per mezzo pomeriggio di domenica. In pratica vivevamo dentro il campo di regata e stendevamo le ossa la sera tardi al Villaggio. Il campo della lagoa è spettacolare: sorge ai piedi del Corcovado e sempre il Cristo Redentore domina dall’alto. C’è solo la difficoltà che il vento è laterale e contrario al senso di regata e crea delle onde che ti affondano. Ma per il resto è molto bello.

La settimana prima delle batterie l’abbiamo passata ad allenarci, dando le ultime rifiniture alla preparazione. Il 7 settembre abbiamo partecipato alla cerimonia d’apertura allo stadio maracanà e lì ho davvero avuto la sensazione di essere parte di qualcosa di fantastico, esclusivo, emozionante e irripetibile. Durante tutta la cerimonia mi sono sentita fortunatissima: non solo ero riuscita a partecipare alle Olimpiadi, ma ero anche riuscita a calarmi nel vero significato dei Giochi. Quando lo speaker ha chiamato la delegazione italiana, lo stadio ci ha risucchiati al suo interno: era pieno con 70mila persone che urlavano e applaudivano il nostro passaggio. C’erano bandiere italiane ovunque e per qualce minuto non ho capito più niente. Non ci sono parole per descrivere l’ingresso al Maracanà, stadio storico e amitico, straripante di spettatori pieni di furore olimpico. Tra i vari spettacoli che hanno animato la serata dopo l’arrivo delle delegazioni, quello dell’accensione del cuore e del braciere sono stati i miei preferiti. Noi eravamo seduti vicinissimi al braciere e quando si è illuminato sono riuscita persino a sentire il calore del fuoco e mi sono sentita viva. Sarà forse l’associazione di idee più banale della terra: si accende il fuoco e si ricorda il fuoco della vita, ma è così. Mi sono sentita davvero carica, piena di vita, forte e mi sono resa finalmente conto di quale evento incredibile stavo vivendo.

Venerdì 9, sabato 10 e domenica 11 settembre ci sono state le gare. Siamo arrivati decimi ma abbiamo partecipato alla regata da equipaggio unito, solido e generoso. Ognuno remava nel tentativo di dare il meglio e di portare gli altri il più lontano possibile. Ovviamente, nonostante tutte le speranze e la preparazione, ci sono anche le altre imbarcazioni e si sono visti equipaggi fortissimi. Sono state belle giornate, caratterizzate da sensazioni travolgenti e commozione. Ogni volta che scendevo dalla barca avevo le lacrime agli occhi, non per tristezza, ma perche prendevo consapevolezza della situazione irripetibile che stavo atraversando. Una finale olimpica? Ma quando ricapita?
Terminate le gare abbiamo avuto la possibilit di visitare in fretta Rio de janeiro. A città è molto carina, piena di polizia e esercito che lasciano un vago senso di irrequietezza. La siaggia di ipanema, a mio avviso, è la più bella. Copacabana a suo modo è altrettanto carina ma è decisamente troppo affollata e turistica. La statua del Cristo Redentore  è uno spettacolo assurdo: la salita alla cime del Corcovado è caratterizzata da una specie di giungla tropicale, seguita da una scalinata in pietra che man mano conduce ai piedi del Cristo. Nel basamento della statua c’è persino una cappella di preghiera.  

Siamo ripartiti per Roma il 13  settembre, con uno dei voli più scomodi che abbiamo sperimentato. Purtroppo ero accanto al bagno e mi sono sorbita tutta la tramsumanza degli incontinenti che andavano alla toilette ogni due minuti. Non trovavo posto per le ginocchia, il collo era sempre dolorante, non ho mangiato perché non era stato comunicato che non posso assumere lattosio… In pratica è da mercoledì che dormo e non riesco a riprendermi dal jet leg.
Le due settimane olimpiche a Rio sono state le più eccitanti, travolgenti, divertenti, stancanti, devastanti e sconvolgenti della mia vita. Non ricordo periodi brevi in cui tante emozioni, tante novità e tanti eventi abbiano affollato così prepotentemente la mia vita. Vedere tante disabilità diventare punti di forza è stato illuminante. Vedere come a prescindere da quello che è successo nel passato, possiamo vivere nel presente, un magnifico presente, rende orgogliosi. Vedere l’umanità intera che reagisce alle disgrazie, alle malattie, agli incidenti e diventa una popolazione di sopravvissuti, di super umani, di X-Men, fa capire quanto siamo tutti speciali ed eccezionali per tutto quello che facciamo ogni singolo giorno.

Siamo X-Men.