Boa Tarde a Todos!
Notte buia e tempestosa sul mare: pioggia a dirotto, tuoni
fulmini e saette! Mi è sembrata la serata giusta per rivoluzionare camera mia
pulendo, riordinando e buttando. L’ashtag è BUTTOTUTTO. Già che c’ero mi sono
anche messa a passare l’aspirapolvere e ho armeggiato con delle prese di
corrente. In teoria abbiamo il salvavita, quindi il temporale dovrebbe farci un
baffo. Di questo mio raptus casalingo preceduto da un attacco di Masterchef nel
quale ho per la prima volta fatto la pizza con le mie mani, ne avrete notizia
nei prossimo post e video sul mio canale YT. So, stay tuned!
Stasera voglio concludere il trio di post riguardanti le
Paralimpiadi ormai quasi in chiusura a Rio de Janeiro. Non che abbia finito gli
argomenti, anzi. Ce ne sarebbero di storie, aneddoti, eventi e dritte
interessanti per chi dovesse trovarsi nella città carioca in vacanza. Credo però
sia giusto mettere un punto fermo, determinare un confine e concludere il
racconto della mia esperienza personale.
I post precedenti sono stati estremanente scientifici. Fatti,
date, situazioni, eventi e risultati. È un modo di scrivere un po’ crucco che
mi appartiene ma di certo non mi piace molto.
Quello che vorrei fare con l’articolo di stanotte è di
menzionare le persone, i cuori, le anime che hanno popolato la mia
Paralimpiade.
Sapete che cosa rappresentano le tre gocce del simbolo delle
Para? Mente, corpo e anima. Meglio non si potrebbe raffigurare l’essere umano. In
due settimane olimpiche ho visto, sentito e sperimentato di tutto. Tutte le mie
tre componenti essenziali hanno avuto modo di abbandonare ciò che conoscevano
ed esplorare un mondo nuovo. C’è qualcosa di epico nel definire la mia
esperienza paralimpica a Rio come la scoperta del Nuovo Mondo…quasi quasi mi
sento come Colombo o Magellano.
Da soli, però, non ci si arriva. Non credo sia possibile approdare
ad un evento pazzesco come le Olimpiadi se intorno non si ha un entourage di
supporto e di affetto incondizionato. Dico incondizionato perché noi atleti
passiamo dei momenti terrificanti che rendono la vita intorno a noi impossibile
e chi ci resta vicino davvero è munito di pazienza infinita e amore senza
riserve nei nostri confronti.
Primi tra tutti devo menzionare i miei genitori e il mio
pazientissimo ragazzo. Senza questa triade di caratteri diversi, forti,
amorevoli e comprensivi, dubito che sarei sopravvissuta a questi ultimi anni e
che sarei riuscita ad arrivare a Rio. Dicono che le grandi persone hanno dietro
di sé delle persone ancora più grandi. Credo nel mio caso sia esattamente così.
Con tutti i miei difetti, paure, incertezze, ansie e timori di sorta, senza
mamma papà e B. non sarei mai e poi mai giunta a disputare una finale olimpica.
Spesso più entusiasti di me, riuscivano sempre a vedere chiaro il fine delle
mie fatiche e sofferenze, mentre io venivo sbattutata a destra e a manca dalla
stanchezza e dai dubbi. Meno male che ci siete!
Il canottaggio è generalmente uno sport di equipaggio. Senza l’equipaggio
la barca non va. Senza un equipaggio solidale e unito, la barca si ferma.
Florinda, Luca, Tommaso e Peppe sono stati i miei compagni vogatori e timoniere
degli ultimi mesi. Al di là del risultato finale, quello che davvero conta è
che siamo sempre scesi in barca con l’intenzione di arrivare il più lontano
possibile, remando insieme e compatti. Siamo sempre scesi in acqua da
equipaggio solido. Quello che mi rimarrà per sempre nel cuore, è di aver avuto
la possibilità di conoscere i caratteri dei miei compagni di barca. Anche se si
rema insieme tutti i giorni, non è detto che poi ci sia anche uno scambio
emotivo all’interno dell’equipaggio. Si può benissimo remare bene e poi andare
ognuno per la sua strada. Nelle ultime settimane, invece, siamo diventati
amici. Le maschere di durezza e stabilità sono cadute e si è confermata la mia
tesi che sotto la corazza da unno si nasconde spesso un animo gentile ferito e
scorticato. In futuro, quando sarò vecchia, ripensando alle Paralimpiadi la
prima cosa che mi verrà in mente non sarà la gara, ma i cuori e le anime dei
miei compagni.
Anche se non in barca con noi, un ruolo essenziale lo hanno
avuto i due singolisti Eleonora e Fabrizio. Due persone eccezionali. Entrambi in
carrozzina, entrambi con una determinazione di ferro, sono stati i nostri
compagni di barca immaginari, amici di sostegno e conforto, che abbiamo cercato
anche noi di aiutare il più possibile. Io non sono mai stata una di quelle
persone con handicap che si immaginano che cosa farebbero se… ma guardando i
miei compagni singolisti, ho sempre inevitabilmente un moto interiore che me li
fa vedere in piedi mentre sgambettano allegramentr. Non so per quale motivo io
in realtà li veda così, eppure questa è l’immagine che ho sempre di loro.
Nell’agitatissimo e coloratissimo caleidoscopio delle
Paralimpiadi, innumerevoli persone si sono affacciate sul nostro percorso. Tutte
loro sono state di aiuto, supporto ed incoraggiamento. Questa massa enorme di
umani che inneggiano allo stesso modo al nostro miglior successo, li vedo come
una specie di colla, di silicone, che va ad unire tutto il puzzle. Anche se per un tempo brevissimo, anche se
solo per coincidenza, tutte queste persone hanno contribuito, anche
involontariamente, alla costruzione del nostro cammino olimpico.
Il Villaggio Olimpico è un mondo nuovo e lontanissimo da
quello orrendo che siamo abituati a popolare. Nel Villaggio ci siamo tutti,
tutti differenti, tutti con una disabilità particolare, tutti normalissimi
eppure tutti eccezionali. Secondo mia mamma siamo X-Men. Secondo il Presidente
del Brasile siamo Super Humans. Io credo abbiamo ragione.
Alla fine di questo mio viaggio, forse inizio di un nuovo
capitolo della mia vita, il messaggio che spero arrivi all’esterno è che la
disabilità non è una abilità venuta a mancare. È un nuovo punto di partenza. È l’opportunità
per indirizzare la propria vita verso nuovi orizzonti che forse da normo non
avremmo mai nemmeno sognato. Non vedere, non sentire, non camminare, essere
nani o giganti, albini o amputati, non sono caratteristiche che ci definiscono
in maniera dispregiativa. Al contrario, la nostra diversità ci rende unici ma
non soli, eccezionali ma non isolati. Per la prima volta in tutta la mia vita
non mi sono sentita sola, l’unica diversa, quella che richiede special needs. La
nostra è semplicemente una nuova normalità, un nuovo inizio e una nuova
opportunità di raggiungere soddisfazioni incredibili. Quindi, che sia lo sport,
uno strumento musicale, un interesse particolare che avete, andate e
appassionatevi, bevetevi tutta la vita che vi arriva senza riserve e senza
paure. Ne vale assolutamente la pena.
E se lo fate in compagnia, è anche più bello!