Ciao a tutti
Ne parla il mondo intero e allora ne parlo anche io. Donald
Trump è il quarantacinquesimo Presidente degli Stati Uniti. Piaccia o meno, la
sua vittoria è stata netta su Hillary Clinton, a dispetto di tutte le
previsionu fornite dai presunti esperti del settore. Anche la stampa si sta
leccando le ferite: raramente i giornalisti e gli analisti prendono abbagli
così clamorosi e la figuraccia a livello internazionale è a dir poco
imbarazzante. A riprova di quanto i media dicano quello che decidono di dire e
non quello che dovrebbero riportare dalla vita reale.
Sono state elezioni particolarmente sofferte, senza
esclusione di veleni e colpi bassi. Forse, durante la campagna elettorale, si
sono persi i contenuti delle proposte politiche dei due contendenti. Spero che
gli americani possano ora godere di un po’ più di chiarezza su quale sarà il
futuro della propria economia e vita quotidiana.
In tutta sincerità, se avessi dovuto votare, non avrei saputo
chi scegliere. Da un lato, apprezzo Trump come industriale quasi self-made, ma
non sopporto il suo modo di fare onnipotente, come se tutti dovessero
inginocchiarsi al suo passaggio, donne in primis. Dall’altra parte, Hillary
Clinton così globalizzata e difensore delle banche, non mi attira per niente.
E così, a forza di scandali e chiacchiere, ha vinto Trump. Gli
americani hanno finalmente un presidente non politico, non militare, ma
industriale, amante delle donne (in certi ambiti, chiaramente), che da
miliardario predica l’equità e l’eliminazione della corruzione. Vi suona
familiare per caso?
Sin dalla sua presentazione come candidato, ho sempre
pensato, purtroppo, che avrebbe vinto lui.
Innanzitutto, Trump rappresenta l’economia interna, fondata
sull’edilizia e sugli armamenti che sappiamo essere lobby potentissime in
America. Molto meno favorevole alla globalizzazione ma sempre presente quando c’era
da raccoglierne i frutti.
Inoltre, attrae il consenso della fascia predominante della
popolazione americana, composta da persone poco istruite, ottuse, contrarie
agli stranieri e a tutto ciò che sa di cambiamento e di modernità. Dopotutto, l’intellettuale
di Stanford o Harvard è solo un puntino nella demografia americana. Probabilmente,
la maggior parte dei sostenitori di Trump ha un fucile e di certo non ha paura
di usarlo. In più, con le sue teorie guerrafondaie, Trump riceve il consenso
ampio di chi ritiene che si debba necessariamente bombardare i nemici della
libertà. Ovviamente, essendo gli americani abituati ad essere una superpotenza
(soprattutto grazie alla loro posizione di isolamento geografico), non vedono
mai le conseguenze di queste azioni. D’altra parte, l’Europa che si ritrova con
guerre e crisi internazionali sull’uscio di casa, ha o almeno dovrebbe avere
una visione diversa della medesima questione.
Hillary, purtroppo, non ha mai davvero scaldato i cuori dei
futuri elettori, mentre Trump con il suo carisma travolgente che però spesso
gli ha portato dei guai, è riuscito sempre a far parlare di sé e ogni sua
apparizione lasciava un vivido ricordo nella mente dell’elettorato, maschile
soprattutto. Nonostante le sue sparate estremamente offensive e sessiste, ha
ottenuto una impressionante quantità di voti da parte delle donne. A riprova
che la caciara (termine non scientifico ma che rende l’idea) paga più dell’intelletto
e dell’educazione. Forse per un popolo che in maggioranza crede che la Spagna
sia in Sud America, una figura forte basta e avanza, anche se priva di
contenuti.
Infine, temo che il fatto che la Clinton sia donna abbia
giocato contro di lei. Siamo evoluti, moderni, ma un Presidente donna ancora
suscita timore e incertezza. Negli States, dovendo votare anche i
rappresentanti di Stati non molto sviluppati, forse il fattore femminile è
stato particolarmente rilevante in fase di scelta e si è continuato a preferire
un uomo.
Il mondo, ora, si è diviso: tra i governi che ammirano Trump
per le sue teorie protezionistiche, a quelli che temono che possa provocare nuovi
scontri, siamo tutti d’accordo che è una figura inedita e certamente imprevedibile.
E l’Europa?
Sono fermamente convinta che una Europa forte e solida,
compatta nelle sue politiche interne ed estere, sia del tutto in contrasto con
gli interessi americani. Una volta che in Occidente nasce e vive una potenza
alternativa alla classica e desueta forza americana, ecco che nasce anche il
problema di avere un competitor. Aggiungo anche che l’Europa, con il suo
bagaglio culturale e storico, grazie anche alla vicinanza a ben due continenti
molto ricchi, è decisamente avvantaggiata rispetto a chi si trova dall’altra
parte di un oceano immenso. Queste stesse caratteristiche, che potrebbero
essere considerate dei vantaggi veri e propri, si trasformano in ostacoli e
difficoltà nel momento in cui l’Unione non è compatta e si arrovella il
cervello nel misurare trote e banane, proponendo una dieta a base di scarafaggi
che di certo non appartiene a nessun popolo europeo. Ne consegue senza troppi
dubbi, che il declino del nostro continente e l’erosione di un brillante futuro
comune va a vantaggio immediato degli Stati Uniti che ci regalano il contentino
di dichirarci partener preferiti. Bella faccia di bronzo.
Credo, inoltre, che l’Unione europea non sia una opzione per
nessuno. Credo, invece, che sia la sola strada percorribile per essere uniti e
rappresentare un punto di riferimento a livello internazionale. Stati di cinque
o sei milioni di abitanti, così come di sessanta milioni di abitanti, da soli,
che cosa possono dire a potenze di qualche miliardo di abitanti? Da soli come
si fa ad affrontare crisi internazionali, guerre, migrazioni e drammi? Ricordiamo
che l’Europa è il continente più bellicoso della Terra, così, però, è anche quello
maggiormente acculturato che ha fondato ed esportato la civiltà sul pianeta. Dovremmo
smettere di misurare banane o far finta che le grandi migrazioni non esistano,
o che non ci sia un grave problema di sicurezza all’interno dei nostri Paesi, e
unirci per la comune sopravvivenza e progresso.
D’altra parte, non credo che una Unione europea la cui
politica viene dettata dagli StatiUniti sia una Unione realmente stabile. Dovremmo
liberarci di questa sudditanza, rendendoci conto che insieme valiamo davvero
qualcosa. Vivere con politiche tanto amate oltreoceano, oppure con imposizioni provenienti
da certi Stati dell’Unione stessa, non fa altro che minare la nostra stessa
aspettativa di vita e indipendenza in quanto Stati.
Pertanto, come Trump inneggia all’jndipendenza americana,
anche noi europei dovremmo batterci per la nostra autodeterminazione in quanto
Stati, prima, e Unione, poi. In più, siamo avvantaggiati dal bagaglio culturale
che ci portiamo dietro che, sempre più spesso, diventa un fardello, fabbrica di
politiche vuote e senza principi.
Possiamo fare di meglio.