Buongiorno care Talpette e non!
Pensavate fossi scomparsa, eh? E
invece eccomi qui!
Oggi festeggiamo un compleanno
importantissimo, fondamentale e determinante nella storia dell’uomo.
Occhiochevivedo compie tre anni!
Più volte ho pensato a cosa
volessi scrivere in questo post. Finora, il solo punto rimasto immutato è la
voglia matta di ringraziarviti, dal primo all’ultimo. Scrivo per voi, nella
speranza di dare un po’ di respiro alla consapevolezza che la vita di una
persona giovane con una disabilità è una vita vera, e non una vita mancata.
Avevo pensato di fare un piccolo
bilancio, gli asset che fino ad adesso hanno fatto parte di questo blog. Ma devo
ammettere che non sono in vena di esami tipo Capodanno sul tempo passato. E ve
lo dice una persona ossessionata dal passato e angosciata dal futuro. Come ha
giustamente affermato la mia amica C., il passato è morto.
Amen, sorella.
E nemmeno credo alla spiegazione
semplicistica e facilona del “succede tutto per una ragione”. Mi piacerebbe
molto credere che c’è un piano preciso dietro tutto quello che accade, ma
questa visione contrasta in maniera brutale con uno dei poch principi che sono
riuscita a consolidare finora, ovvero che la vita è caos puro e che le nostre
azioni, insieme a una enorme dose di fortuna (altro caos), predispongono il
nostro avvenire.
Troppo facile mettersi l’anima in
pace credendo che ci sia sempre una spiegazione a noi occulta dietro i
disastri che affollano le nostre vite,
facendoci poi festeggiare i sacrifici fatti fino a questo momento quando
succede qualcosa di positivo.
Vorrei potermi accontentare di
questa credenza, di base molto religiosa, direi.
Credo piuttosto che valga la pena
continuare ad andare avanti, provando e riprovando, man mano aggiustando il
tiro, finchè il caos si rivela essere a noi favorevole. Certo è che, nel
percorso, sarebbe meglio cercare delle attività che ci possano davvero
soddisfare.
Da qualche tempo, nel tentativo
spesso vano di abbandonare le zavorre del passato, penso a cosa potrebbe essere
il futuro. Purtroppo non ho mai avuto a disposizione la palla di cristallo,
quindi posso solo sperare. Come sempre nella mia vita, c’è molta confusione. Ammetto
di essermi davvero stancata di fare la zingara senza fissa dimora e senza
stabilità. Dopotutto, non mi sono mai fermata da nessuna parte più di quattro
anni, potete capire come io senta a questo punto la necessità di consolodarmi,
almeno per qualche anno, in un punto del mondo, magari mentre svolgo una
attività che mi piace.
Immagino, di avere un lavoro che
mi piaccia e che mi garantisca un certo reddito, sogno una casa mia, una vita
sociale divertente e, se posso spingermi così lontano, un po’ di serenità. Forse,
poi, potrei anche annoiarmi dopo qualche tempo, ma mi piacerebbe davvero
provare la sensazione di sapere che c’è qualcosa senza data di scadenza nella
giornata.
Bello sognare.
Poi sbatto contro la realtà e mi
sveglio.
Il 2016 ha registrato il numero
maggiore della storia italiana di ragazzi under 35 che hanno abbandonato l’Italia
per trasferirsi a lavorare all’estero.
Diamo uno sguardo a chi rimane.
Stage e tirocini che in verità
nascondono un sottobosco di precari e disperati. Uffici che ti tengono
inchiavardato alla scrivania per 14 ore al giorno, con uno stipendio da fame e
magari dandoti dello sfaticato se una volta esci dopo 10 ore di lavoro. Ragazzi
che portano i pasti a domicilio in bicicletta, in mezzo al traffico di Roma,
rischiando la vita e un enfisema, pagati 3.5 euro all’ora. Poi, ovviamente, per
fare qualsiasi cosa, devi conoscere qualcuno. Almeno a Roma è così. S non sei
introdotto e presentato da qualcuno, rimani nella massa di cercatori di
impiego. Inoltre, gli studi professionali non ti pagano. Mai. E li avete mai
incrociati quei cari signori che ti ricattano moralmente per spremerti come un
limone, quando a fine mese ti rendi conto che tra spese e extra, stai pagando
tu per andare a lavorare come uno schiavo?
Ma che abbiamo reintrodotto la
schiavitù in Italia e non ci hanno avvisati?
E non apro il capitolo concorsi
pubblici e ricerca altrimenti mi viene l’ulcera. Aggiungiamo anche i degni
maiali che fanno sentire in colpa una madre che esce mezz’ora prima per andare
a prendere il figlio a scuola, perché quel giorno la nonna non poteva…in un
Paese senza servizi per l’infanzia, a meno di non poter spendere un patrimonio.
E mi viene da vomitare al pensiero di tutti coloro che non nemmeno chiamano a
colloquio una persona con disabilità, pensando che sia inabile al lavoro e
quindi sia inutile ai fin dell’azienda. A meno di non aver bisogno di una centralinista
o di un portinaio. Beata sorpresa di scoprire che anche i disabili sono
ambiziosi!
La vera disgrazia è che se uno di
noi dice di no a questo sistema marcio e criminale, ci sono altre mille persone
dietro ad pronte a dire sì.
Ovviamente, questa è una visione
pessimistica del quadro generale che sto sommarizzando. Tante aziende tengono
molto ai loro impiegati e operai, molti fanno crescere i propri lavoratori. Ma
a volte pens he questa sia una realtà che in pochi hanno avuto la fortuna di
conoscere.
Invece, conosco molte persone
quasi trentenni, come me, che navgano in un mare davvero difficile e senza
mezzi di aiuto. Sentiamo, e sono felice di non essere solo io ad avere questa
impressione, che arrivati quasi a un giro di boa importante come i trenta, dovremmo
essere un po’ più stabili, molto meno incerti e con qualche achievement nel
nostro portfolio. Vedi i miei vecchi compagni di liceo, tutti stranieri, che
oggi lavorano, molti si sono sposati e molti altri hanno anche già figli.
Poi ci siamo noi, che nemmeno
abbiamo i soldi per prendere in affitto un monolocale. La generazione dei nati
alla fine degli anni ’80 sta svanendo nel mondo, ci stiamo disperdendo in una
dispora triste, che ci porta o a restare senza alcun mezzo di sostentamento, o
ad andarcene con l’amaro in bocca, consapevoli di aver abbandonato la nave che
affonda e di essere in collera con tutti i maledetti ladri che ci hanno
obbligati ad andarcene.
La confusione dei trentenni e dei
quasi trentenni esiste. Non siamo bamboccioni o sfaticati. Solamente, per noi è
davvero difficile trovare una dimensione che ci consenta di crescere. Perché è
proprio questo il punto. Se non volessimo fare niente, nemmeno ci ammazzeremmo
tanto a cercare, a provare e riprovare. Ma sappiamo che è ora di salpare. Peccato
che abbiamo una barca senza vele e senza remi.
Sentiamo la necessità di fare tutto, di provare qualsiasi strada, senza ragionare e disperdendo le energie in mille tentativi angoscianti. l'affanno ci accompagna quotidianamente. A volte mi sembra di essere una belle barchine della Grande Onda: una massa d'acqua terrificante sta per abbattersi un piccole imbarcazione inermi, immobili. Ma il momento è cristallizzato. le barche sono troppo lontane tra di loro per potersi aiutare. il terrore di quello che accadrà è agghiacciante. E se non ce la facessimo? Nulla si muove, l'onda è lì, pronta a distruggerci. Ma nonostante i tentativi, non succede mai niente.
Però, c’è un però. In un mondo
dominato dal caos e dall’incertezza, prima o poi ci sarà la nostra rivincita. Lo
so che in un modo o nell’altro troveremo tutti il nostro posto nel mondo. Solo che
dovremo sputare più sangue dei nostri genitori. Oddio, sembra quasi che siamo
in un periodo post bellico, in cui non esiste più nulla. Materilmente, è quasi
così. Ma dato che, come dice il saggio, la ruota gira per tutti, coloro che
sono più che felici di averci ridotti in queste condizioni, presto o tardi se
ne pentiranno e magari vedremo i nostri sforzi ripagati. Nessuna generazione
nasce e muore sfigata.
Un’altra cosa di cui sono sicura
è che la vita cambia costantemente. E cambiando, potrebbe mettersi bene anche
per noi. E questa non è solo una speranza.
Forza trentenni, tutto passa.